Sadhu asceta induista alla ricerca dell’illuminazione
Il sadhu asceta induista noto a volte anche come yogi e sanyasi è un asceta indù che ha rinunciato alla casta, alla posizione sociale, al denaro e all’autorità e occupa un posto speciale nella società indù. Il sadhu “che viene, che conduce diritto alla meta”, è colui “che rinuncia”, che rinuncia al mondo per vivere in solitudine dedicandosi alla meditazione attraverso una rigorosa pratica spirituale.
I sadhu sono gli uomini santi dell’India, sono coloro che seguono la via più rapida e veloce per diventare illuminati. Per lo più uomini, ci sono poche donne sadhu. Molto più diffusi in passato adesso se ne contano circa 4-5 milioni tra India e Nepal organizzati in varie sette, di solito vivono da soli, ai margini della società, e trascorrono i loro giorni in devozione della divinità che hanno scelto. E molto comune incontrare questi sadhu nelle città sacre come Varanasi, Pushkar, Haridwar, Pashupatinath (a Kathmandu), Rishikesh, Bhubaneshwar, nei luoghi sacri di pellegrinaggio e durante feste e ricorrenze come il Kumbha Mela e il Diwali.
Concetto di sadhu asceta induista
Come uno che cerca l’anima universale per essere assorbito in esso, il sadhu asceta induista è distinto dal sacerdozio ortodosso poiché la rinuncia è considerata superiore ai riti dei sacerdoti.
Il concetto indiano della santità è molto diverso da quello in occidente e non è necessariamente (anche se spesso) associato al “bene”. Infatti, alcuni santi indiani non sarebbero probabilmente considerati tali da noi. C’è una lunga tradizione di “follia divina” nell’Induismo. Per gli indù, l’illuminazione spirituale ha sempre rappresentato l’obiettivo più alto della vita, l’unica cosa che dà significato e scopo alla vita, inoltre, l’illuminazione è uno stato d’essere che è in linea di principio raggiungibile da tutti.
L’individuo medio, però, avrebbe bisogno di molte incarnazioni per diventare illuminato, per vedere Dio, unire la propria mente con la coscienza cosmica – insomma, diventare santo. I sadhu sono invece coloro che seguono la via più rapida e veloce per diventare illuminati.
Il concetto del sadhu traccia la sua origine alle prime immagini dello stesso Shiva, con i capelli colorati e il corpo coperto di cenere. Un sadhu non ha alcuna casta ed e è libero di aderire a qualsiasi strato della struttura sociale. Il sadhu è accreditato gran parte dello sviluppo della cultura indiana, dell’arte, dell’architettura, della musica, della poesia e della letteratura, influenzando e formando il mondo che ha abbandonato con i suoi infiniti viaggi da un sito sacro all’altro, cantando canzoni e recitando poesia e portando icone, dipinti e altri oggetti santificati.
Il sadhu di solito porta sulla sua fronte tre linee del tridente di dio disegnato in pasta di cenere o di sandalo che può essere verticale o orizzontale. Variazioni infinite di questi segni settari, a seconda della setta, sono possibili. Possono decorare i loro corpi con varie linee e marcature, coprire tutto il torso con ceneri, portare un tridente di metallo e indossare rosari. I capelli e la barba sono non tagliati e imbrattati. I sadhu per scelta hanno rinunciato ai beni terreni, per cui possiedono poco nulla e anche gli abiti sono minimi ed essenziali e va da semplice tuniche bianche longhi, gialle, zafferano a seconda della setta e i più estremi sono nudi ricoperti solo di cenere, indossano qualche collana, vivono di offerte e trascorrono la loro vita spostandosi in piccoli gruppi sulle strade dell’India e del Nepal da una meta di pellegrinaggio all’altra e da un festival all’altro. Essi hanno rinunciato ai beni materiali, troncato ogni legame con la loro famiglia, non possiedono nulla o poche cose.
Alcune sette estreme dei sadhu consumano ganja e hashish come sorta di veicolo per raggiungere e comunicare con Shiva, alcuni addirittura bevono liquori, non hanno alcuna inibizione al sesso e amano circondarsi di elementi che richiamano la morte. Tutti comportamenti che sarebbero proibito dalla legge indiana e nepalese ma che vengono comunque tollerati. Altre sette rifiutano questi comportamenti giudicati immorali e contrari ai loro ideali.
Le sette dei sadhu
I sadhu genericamente designano gli asceti o sadhu shivaiti, seguaci di Shiva e sono divisi in varie sette. La setta del Dasanami (monaci con dieci nomi) ha circa dieci rami sparsi in tutta l’India. Ognuno ha un ramo militante armato chiamato Nagas. Seguono il tantrismo e il shaktismo, mangiano carne, prendono stimolanti e spesso vengono criticate per le loro pratiche erotiche.
I Gorakhnathi asceti della scuola tantrica di Gorakhnath indossano grandi orecchini all’orecchio chiamati kundala.
Gli Aghori Yogi o sadhu aghori, sono noti per i loro riti che hanno a che fare con la morte.
I Lingayat o Virashaiva originari dell’India del sud, meditano su Shiva, riconoscono l’uguaglianza tra i sessi e portano un piccolo contenitore al collo.
I sadhu che venerano Vishnu sono i sadhu Vishnaiti e si sono diffusi successivamente ai shivaiti. Comunemente chiamati vairagi, sono membri di varie scuole di devozione bhakti. Non hanno abbracciato i comportamenti estremi degli asceti shivaiti, e il loro segno di identificazione comune è un bianco segno V disegnato sulla fronte, con una linea aggiunta in bianco o rosso al centro. Di solito indossano tuniche bianche e portano perline di tulsi (basilico sacro).
I sadhu shivaiti e vishnaiti non vanno molto d’accordo tra loro e spesso nei grandi ritrovi tipo il Kumbha Mela possono scoppiare alterchi e risse.
A differenza del comune indù che viene cremato, il sadhu viene sepolto. Poichè si crede che il sadhu sia immortale, la sua morte è considerata simile alla trance. Il suo corpo non viene cremato, ma seppellito in posizione seduta con le gambe incrociate nella posizione della meditazione, e il luogo di sepoltura diventa normalmente un luogo di culto.
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