“Esperimento con l’India” di Giorgio Manganelli
editore Adelphi
Nel 1975 Giorgio Manganelli quale inviato de “Il Mondo”, è mandato da solo India per scrivere un reportage, e Manganelli in questo suo viaggio rivendica orgogliosamente la sua scelta di solitudine viaggiando senza macchina fotografica al seguito. Morto nel 1990, nel 1992 è uscito postumo questo libro Esperimento con l’India.
L’India è un paese che 14 anni prima aveva lasciato un forte segno nelle vite di Pier Paolo Pasolini (autore di “L’odore dell’India“) e Alberto Moravia (autore di “un’idea dell’India”), entrambi autori di originali memorie di viaggio impresse su carta.
Esperimento con l’India, non è un saggio sull’India o sulla cultura indiana, né un diario di viaggio, né un romanzo, ma è semplicemente una raccolta di pensieri e impressioni, “un’insieme di scritti”, annotazioni ordinate che la visita dell’India ha stimolato, a volte più leggere a volte più profonde e ricche quando esamina la realtà indiana. Filo conduttore resta l’India verso cui Manganelli nutre un iniziale distacco che in corso d’opera si trasformerà in attaccamento a certi valori fino alla conclusione finale.
«Ami l’India ?» mi dice un italiano, un uomo nato per essere amico, dolce di dolcezza asiatica. Ma io non so rispondere. In India ho conosciuto una paura prossima alla morte; ho conosciuto la seduzione agevole e impossibile; ho visto gli occhi spalancati e senza pupille, gli dèi sull’altalena, ho visto i mostri e i lebbrosi, sfiorato il deposito della anime.
Tutto fluttua tra follia e rivelazione. Tutto è facile e intoccabile. Ho incontrato innumerevoli tracce di Síva, il dio molteplice, che crea e distrugge, il danzatore millenario chiuso nella magica ruota. «Io sono povero» dice una poesia antica per Síva «le mie gambe sono le sue colonne, il mio capo è cupola d’oro. Le cose salde ed immobili crollano, ciò che non ha requie permane intatto».
Forse è ora di cominciare ad occuparsi dell’India.
È un libricino di poco più di cento pagine che si lascia leggere facilmente. Diviso in dodici capitoli non numerati o intitolati che seguono il suo itinerario. Si inizia dal volo per Bombay a cui segue lo sbarco il primo contatto con l’India a cui l’autore dedica qualche pagina in più.
“Qualche mucca magra ed errabonda gironzola per strada, evitata con cura dai tassì, e mi sembra una di quelle goffe ma sacre edicole che si trovano in campagna, o negli angoli dei vicoli romani o napoletani. Macilente ma pacate, lievemente surreali, le mucche conferiscono alla selva umana una pia lentezza, una sfaticata e misteriosa delicatezza.”
Dopo aver visto e visitato Bombay, le sacre grotte di Ajanta i templi scavati nella roccia ad Ellora e la deliziosa città moghul di Aurangabad inizia a spostarsi verso il sud dell’India.
Arriva a Goa un “luogo riposante, anche se menzognero rispetto al contesto indiano”, e qui scopre le tracce lasciate dagli europei, portoghesi in primis, a Goa vi sono chiese, chiesette, cattedrali, basiliche, chiesupole, chiese defunte, agonizzanti, prospere, cordiali, campanili pericolanti, suore, preti, cimiteri, lapidi per vescovi …
“È la Roma dell’Oriente mi dicono, ma io penso che Roma al confronto dà un po’ troppo sul laico , sul profano.”
Ma a Goa trova anche il fantasma di san Francesco Saverio arrivato qui nel 1541 dal Portogallo mosse da qui missioni in tutto l’Oriente. Lasciato Goa prende il volo per il Kerala. Prima la sorvola e poi la percorre tra Cochin, Trivandrum e Capo Comorin. Lasciato il Kerala è a Madurai una città che aveva in mente fin dal suo sbarco a Bombay. Manganelli è affascinato dalla città sacra di Madurai:
“Quante persone affollano giorno e notte il tempio di Madurai? Forse diecimila, forse ventimila”
e ancora:
“Aggirandomi per lo sterminato tempio di Madurai, si avverte qualcosa che si vorrebbe chiamare « il modo asiatico di scoprire gli dèi » : un procedimento che si alimenta da una vocazione ai sogni, e da un lato ne ha l’infinita inconsistenza e l’erratica inventività, e, insieme, riesce a pietrificare codesta materia sognata, lasciandole tutta la sterminata dilatazione labirintica, la genealogia delle incarnazioni, tutte successive e tutte contemporanee.”
Lasciata Madurai è prima a Madras (l’attuale Chennai) dove ha tempo per visitare Mahabalipuram e Pondicherry per poi volare a Calcutta prima di rientrare a Delhi. A Calcutta in quella che per certe idee e stereotipi dovrebbe essere la città più spaventosa dominata da Kali – la dea che crea e nutre, uccide e distrugge -, alla fine paradossalmente risulta essere la città che inspira in Manganelli le riflessioni più acute e profonde.
“E tuttavia Calcutta è tutto fuorché una città mortuaria. La anima una vitalità ambigua, che accoglie in sé decadenza e nascita”
Non tralasciando di parlare di Madre Teresa, della sua figura e dell’energia che lei ha sprigionato in India, e dell’amore verso il prossimo che riesce a trasmettere.
In conclusione si tratta di un libricino di cento pagine che si lascia leggere molto bene, con riflessioni molto argute e attente, ritratto di un paese e di una società indiana senza troppe pretese di spiegare o di capire le ragioni di un fenomeno. È un breve reportage su un’India oramai passata che però conserva aspetti ancora presenti nella quotidianità di oggi, di un paese e di una realtà tanto affascinante e bella quanto inquietante, complessa a tratti inconcepibile e spaventosa.
Giorgio Manganelli: (Milano nel 1922 – Roma 1990), scrittore, traduttore, giornalista, saggista e critico letterario. Collaborò con il “Corriere della sera” e ad altri quotidiani, raccogliendo poi gli articoli pubblicati nel volume “Improvvisi per macchina da scrivere” (1989). Autore di saggi come “La letteratura come menzogna” (1967), “Angosce di stile” (1981), “Laboriose inezie” (1986), ma ha anche scritto reportage come “La Cina e altri orienti” (1974). Nelle sue opere narrative, caratterizzate da una scrittura barocca, è rimasto fedele a un’immagine manieristica della letteratura, come costruzione artificiosa di un mondo surreale. Tra i titoli: “Hilarotragoedia” (1964), “Agli dei ulteriori” (1972), “Centuria” (1979, premio Viareggio), “Discorso dell’ombra e dello stemma” (1982), “Tutti gli errori” (1987), “Rumori o voci” (1987), “Encomio del tiranno” (1990).
Lascia un Commento
Vuoi partecipare alla discussione?Sentitevi liberi di contribuire!