“Samsara” un film di Pan Nalin
“Cosa è più importante: inseguire mille desideri o soddisfarne uno solo …”
Un monaco buddista riemerge dopo anni di meditazione solitaria, incontra poi una donna bellissima di cui si innamora e che risveglia i suoi desideri sessuali. Abbandona il monastero o gompa per sposarla e insieme avere un figlio, ma per l’uomo la vita quotidiana non sarà facile.
Si tratta di un film girato interamente in Ladakh a oltre 3.500 metri, sulle vette dell’Himalaya, una delle regioni più isolate dell’India in hindi e lingua ladakhi con attori non professionisti. Film che colpisce per l’incantevole fotografia, i colori la luce e la naturale scenografia fatta di montagne innevate, specchi d’acqua, vento e nuvole, che a mio avviso sono l’elemento più bello e che più emerge dal film fin dalle sue prime immagini e che lo accompagna per tutta la durata.
Opera prima del regista indiano Pan Nalin, con un passato di regista di documentari, ha qui conservato la capacità di esaltare i tratti unici della natura con inquadrature larghe pure e cristalline e una lentezza di ripresa che invita spesso alla meditazione.
Il titolo del film Samsara è una parola di origine sanscrita usata nel buddhisto, nell’induismo e nel giainismo ed indica il ciclo della vita, il vincolo di nascita morte e rinascita (la reincarnazione in situazioni diverse) sperimentata dall’anima individuale per raggiungere la liberazione, è quindi un percorso per liberarsi dal ciclo delle rinascite.
Il percorso spirituale in questione è quello del giovane monaco buddista alle prese con i dubbi e le tentazioni che incontra nel mondo. Il percorso che intraprende è lo stesso che intraprende chiunque si ponga dubbi sulla propria esistenza.
Luoghi
Come già detto il film è stato interamente girato in Ladakh e per il regista la troupe non è stato facile operare. Da un lato problemi di permessi e autorizzazioni che hanno rallentato e spesso fermato le riprese, dall’altra le condizioni ambientali. Si è sempre lavorato ad una altitudine tra i 3.500 e i 4.500 metri con le difficoltà che si possono incontrare.
Come detto l’ambientazione e la fotografia sono forse uno degli elementi più belli e convincenti del film. Chi è stato può facilmente riconoscere diversi luoghi e passaggi tra cui il il lago di Pangong Tso a 4.350 e soprattutto il Chemrey Gompa dove è stata girata parte della storia. Il monastero è stato fondato dal Lama Tagsang Raschen nel 1664, e appartiene all’ordine Drugpa.
Trama
Una carovana di lama, condotta da Apo, vecchio e saggio monaco buddista, va a prendere Tashi un promettente monaco che per tre anni, tre mesi e tre giorni è rimasto in meditazione solitaria in un luogo inaccessibile. Lo accudiscono, lo lavano, gli rasano i capelli e lo riportano al monastero buddista. Tashi è entrato in quel luogo di preghiera e di purificazione da bambino, venti anni prima.
Dopo questa esperienza mistica lo attende un’altra dura prova, l’importante incontro con la splendida Pema. Un incontro che mette a dura prova la sua vocazione religiosa e che lo conduce alla scoperta dell’amore, delle sue gioie passionali e terrene. Il protagonista si arrovella sulla libertà delle passioni terrene che si scontrano con la promessa di disciplina monastica che trovano fra l’altro soddisfazione nella disciplina della castità.
Il vecchio Apo lo spedisce in un altro eremo affinché sia iniziato ai misteri dei testi tantrici e qui Tashi comprende che è necessario per lui possedere le gioie terrene. Decide quindi di rinunciare alla vita monastica per vivere nel mondo degli uomini dove la felicità si combina con il piacere, il dolore, le gelosie e i tormenti.
Sposa Pema da cui ha un figlio Karma, ma ancora una volta Tashi non sarà pronto ad affrontare tutti gli aspetti della vita quotidiana, e ancora una volta sarà assalito da dubbi angosce inquietudini.
Evito appositamente di scrivere la conclusione del film, ma concludo con una domanda che appare all’inizio del film e che avrà la sua risposta solo alla fine:
“Come si può impedire ad una goccia d’acqua di asciugarsi?”
Buona visione!
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