“Il mio nome è Khan” di Karan Johar
Il film indiano “Il mio nome è Khan“, titolo originale “My name is Khan“, è una pellicola del 2010 diretto da Karan Johar, che ha come protagonista la star indiana Shah Rukh Khan e vuole essere un chiaro messaggio di pace per hindu e musulmani.
Da molti definito come il “Forest Gump Indiano” il protagonista della pellicola è affetto da autismo, e la storia si collega ad una vicenda di cronaca che ha visto protagonista lo stesso attore principale Shah Rukh Khan. Nell’estate del 2009 l’attore Shah Rukh Khan è stato trattenuto per ore dall’ufficio immigrazione al suo arrivo all’aeroporto di New York per degli accertamenti legati al suo cognome musulmano. La vicenda ha causato l’indignazione dei fan dell’attore, della stampa e della politica indiana. Considerate che la popolarità di Shah Rukh Khan in India è elevata, ed è soprannominato il “Tom Cruise di Bollywood”
È un film insolito girato in gran parte in America, che tocca un tema caldo, la guerra tra hindu e musulmani con un messaggio di pacificazione.
Protagonista il del film è Karan Khan, indiano musulmano trapiantato negli Stati Uniti affetto da sindrome di Ansperger, una forma di autismo alla Forrest Gump, per lui gli uomini sono buoni o cattivi, ma tutti uguali.
All’inizio del film lo vediamo alle prese con la ricerca del presidente degli Stati Uniti. All’aeroporto viene arrestato e perquisito dalla polizia che lo crede un terrorista. Accertata la sua innocenza e finalmente rilasciato, Khan svela il motivo per cui vuole incontrare il presidente; vuole semplicemente dirgli: « Il mio nome è Khan e non sono un terrorista» (in lingua originale: « My name is Kahn and I’m not a terrorist.»). È la frase simbolo del film che il protagonista Khan ripete come un mantra mentre attraversa l’America seguendo il presidente, è a lui che deve dirlo, perché Khan è un indiano musulmano, ma è una brava persona, non è giusto che gli americani dopo l’11 settembre trattino con odio quelli della sua religione.
Ecco allora che parte un lunghissimo flashback che andrà a ripercorrere tutta la vita del personaggio dall’infanzia in India fino a questo momento. Un’infanzia segnata dalla malattia mentale, dalle prese in giro dei compagni di classe, dalle lezioni del suo maestro, dal rapporto difficile col fratello minore e dagli insegnamenti della madre.
“Al mondo esistono solo due tipi di persone: quelli buoni che fanno buone azioni e quelli cattivi che commettono cattive azioni. Questa è l’unica differenza”
In età adulta il trasferimento a San Francisco, dove trova successo il fratello, e la cotta presa per la dolce ed affascinante parrucchiera Mandira (Kajol Mukherjee), indiana di religione Hindu con figlio a carico.
Se fino ad adesso la descrizione della realtà indiana, del suo povero e difficile paesaggio umano, dei suoi scontri culturali, della gioia dei bambini aveva una notevole forza visiva, dopo l’incontro con Mandira il film si fa più banale, sia da un punto di vista narrativo che stilistico. In questa parte del film prevale la volontà di produrre una pellicola adatta al pubblico indiano, un pubblico sognatore che ha continuamente bisogno di messaggi positivi di speranza ed amore.
Verso la parte finale della pellicola, i grandi eventi della storia recente – l’11 settembre e la guerra in Iraq- riportano il film sul genere drammatico, andando a trattare altre tematiche quali razzismo, interculturalità, integralismo. Insomma, tutti i grandi temi del presente, tutte quelle dinamiche sociali diventate protagoniste dal 2001 a oggi.
E’ un film che potrebbe piacere anche al pubblico occidentale, i limiti sono sempre i soliti: la narrazione dei fatti un po’ troppo esasperata, in alcuni momenti un po’ troppo favola, la lunghezza della pellicola – 2 ore e quaranta – con tanto di canzoni e neanche un bacio secondo le più classiche regole di Bollywood, infine il classico finale grandioso.
Ma comunque non è un film banale ma è importante per l’India e per il mondo che la osserva dal di fuori, perchè manifesta la volontà di aprire gli occhi e di fare ragionare le persone su temi e dinamiche reali che toccano da vicino la realtà quotidiana, un messaggio di pace e di un mondo diverso.
E come è stato accolto in India e all’estero?
Purtroppo non tutti in India la pensano come lui e il film alla sua uscita nelle sale indiane, è stato preceduto da violente polemiche. La speranza del regista Karan Johar era che ad acquietare gli animi fosse la fama dell’interprete, Shah Rukh Khan star e modello per milioni di indiani in patria e all’estero. Gli indiani non hanno molto apprezzato il genere, l’assenza di balli, danze e scene musicali tanto care al pubblico indiano. Anche se poi, molti sono andati al cinema a vederlo, anche solo per amore della star Shah Rukh Khan.
Anche negli Stati Uniti che doveva essere il suo secondo mercato di distribuzione non ha riscosso grande successo. Lo stesso dicasi in Europa, è stato presentato alla 60° edizione del Festival Internazionale di Cinema di Berlino, nella sezione fuori concorso e sempre fuori concorso al Festival Internazionale del Cinema di Roma. Anche se ha ottenuto consensi e applausi nelle sale dalla critica, soprattutto per i temi affrontati, la narrazione a volte risulta troppo debole e i limiti sopra citati non gli hanno permesso di fare presa nel pubblico americano ed europeo.
Lascia un Commento
Vuoi partecipare alla discussione?Sentitevi liberi di contribuire!