“Nessun dio in vista” di Altaf Tyrewala
Feltrinelli editore
Opera prima di Altaf Tyrewala, il libro è un romanzo audace sulla Mumbai odierna e sulle vite individuali che stimolano la coscienza della città. La Mumbai di Tyrewala non è la città indiana dei sogni dell’India della globalizzazione e delle aspirazioni visualizzata da molti indiani, ma piuttosto un centro dove convergono diverse storie disperate.
“Ventisei anni fa ho sposato una poetessa mediocre. Mi ha dato due figli: un maschio che vive su Internet e una femmina che non è mai a casa.
Viviamo insieme e siamo ancora sposati, ma non conosco più quella donna.
La poesia è fuggita dalle nostre vite.”
La struttura narrativa del libro è brillante e già dopo poche pagine si è catturati dalla narrazione in prima persona dei fatti. I capitoli sono brevi monologhi di personaggi eclettiche, vite disperate che rappresentano figure della vivace e confusa Mumbai moderna. Persone, vite disparate e storie che si incrociano in vari modi: una madre poetessa, una giovane donna che a malincuore abortisce sostenuta dal suo fidanzato disorientato e aggrappato ad un Nokia, un ciarlatano abortista, un giovane disoccupato che inizia ad insegnare l’urdu, una convertita, una rifugiata incinta, un gangster nascosto, un macellaio, un CEO apatico, un uomo colpito dalla poliomielite che gestisce un’attività su Internet a cui viene chiesto di dimostrare l’entità della sua disabilità al suo potenziale suocero in modo che possa sondare la sua idoneità per sposare la figlia, un vagabondo, ecc… Personaggi diversi, individuali che vivono nel loro mondo, sebbene tutti accumunati da un bisogno di sicurezza.
Non è una storia strappalacrime, anzi a tratti divertente, ma anche cinica e spietata che a volte spiazza. Non esce il solito cliché dell’India colorata, spirituale e magica, ma piuttosto il ritratto di un’India nello specifico di Mumbai cruda, reale intrisa di problemi e di contraddizioni: inquinamento, ostilità, contrapposizioni religiose, malanni, corruzione, capitalismo globale.
Al centro del romanzo c’è la metropoli di Mumbai brulicante, respirante e sofferente che richiede sottomissione e resa totale prima di sancire la sopravvivenza.
“La donna, con le guance che le facevano più male delle gambe (più del ballo era la simulazione del piacere che la lasciava esausta ogni sera), soppresse i suoi istinti filantropici, appoggiando mollemente le mani sula borsetta, che quella notte conteneva quattrocentosessanta rupie in tagli da dieci, le mance dei clienti.”
Il mendicante lasciò ricadere le mani sul bordo del finestrino. La donna non voleva dare nulla e nemmeno toccarsi la fronte per chiedere perdono al mendicante. Quella notte non voleva neanche guardare quelli della sua specie.”
Tra i racconti c’è la storia del ventenne Sohail Tamabawala, un giovane musulmano della classe medio-bassa che aspira a diventare avvocato. Teme, tuttavia, che la sua identità religiosa gli impedirà di migliorare la sua situazione nella vita. Il sentimento anti-musulmano abbonda nell’India urbana e le sue ansie non sono infondate. Sohail decide di cambiare il suo nome in uno indù. Se il mondo lo percepisce come un indù, “viaggerà liberamente per il paese” e potrà entrare negli hotel senza che gli venga negata una stanza.
Ma la decisione di abbandonare la sua eredità musulmana non è facile da prendere. “Queste cose vengono fatte raramente, e giustamente, perché alterano qualcosa di fondamentale, qualcosa di intoccabile.” D’altra parte, proviene da un’ambiente in cui non c’è limite alla violenza che si può provocare su se stessi o sugli altri e inaspettatamente, il rancore di Sohail verso il pregiudizio astratto e pervasivo della società contro l’Islam si cristallizza in repulsione per la sua stessa fede.
“Domani mattina andrò all’anagrafe e farò domanda per il cambiamento di nome. Che sia quanlcun altro a ripulire questo schifo: è disgustoso, a prescindere da dove ci si trovi, in una lussuosa berlina o nella strada puzzolente, rumorosa. Voglio soltanto diventare un avvocato di successo. Mahathma Gandhi-dom può aspettare un’altra maledetta vita.”
Questo aspirante avvocato è una delle tante storie e vite in Nessun Dio in vista che vengono vissute ai margini, a volte di loro spontanea volontà, alle prese con ansia, il fardello o il profondo disagio di essere un musulmano in India. Le numerose storie del libro attraversano divisioni sociali, politiche e geografiche. In ogni capitolo, appare incidentalmente un nuovo personaggio centrale che è legato al protagonista del capitolo precedente. Lui o lei porta avanti la trama tortuosa e incosciente, diventando un anello di una catena narrativa apparentemente infinita.
Non è la prima volta che Mumbai viene descritta come una megalopoli spigolosa e contradditoria. Celebre è il libro Maximum City. Bombay città degli eccessi di Suketu Mehta dove criminalità, violenza ed eccessi ne proiettano la città in un’aura affascinante.
Altaf Tyrewala in Nessun dio in vista è più distaccato, si limita a narrare e descrivere le diverse vite contradditorie della metropoli indiana.
Altaf Tyrewala nato a Mumbai nel 1977 da una famiglia ismailita, è un autore e editorialista indiano di lingua inglese. Prima di diventare scrittore ha lavorato come cassiere, operatore in un call-center, portiere e scrittore di manuali d’uso. Ha studiato pubblicità e marketing a New York City e ha conseguito un BBA presso il Baruch College nel 1999 prima di tornare a Mumbai per lavorare al suo romanzo d’esordio acclamato dalla critica Nessun dio in vista.
Nel 2012 ha pubblicato The Ministry of Hurt Sentiments e nel 2014 una raccolta di racconti Engglishhh, uscita in Italia nel 2016 con il titolo Karma clown. Dispacci da una nazione iperreale sempre edito Feltrinelli.
I racconti di Tyrewala sono stati inclusi in diverse antologie indiane e internazionali.
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