“Pagglait” di Umesh Bist, un film indiano su Netflix
Il film indiano Pagglait racconta il dramma familiare in una piccola città indiana di una giovane vedova che dopo la scomparsa del marito, fa una scoperta sorprendente che le permetterà di rinascere e prendere il volo. Il ritratto di una mentalità conformista della società la natura ribelle di una giovane donna che ritroverà se stessa.
Pagglait è un film prodotto e disponibile su Netflix in lingua Hindi, da guardare con i sottotitoli. Una commedia drammatica a cavallo tra la vita e la morte. Se normalmente però si parte dalla nascita e si giunge alla fine, nel film diretto da Umesh Bist avviene l’esatto contrario: dalla morte, dalla cremazione si perpetuerà il rito della vita, con quel fondamento di spiritualismo e misticismo che caratterizza la religione induista.
“Pagglait”, la trama
Siamo a Lucknow, una sonnolenta città dello stato dell’Uttar Pradesh nell’India del nord. La protagonista Sandhya (Sanya Malhotra) è una giovane donna vedova che sembra avere difficoltà a essere indipendente. Attorno i suoi genitori e la famiglia del marito alle prese con la tragedia e i rituali induisti del funerale che a volte si trasformano in una follia familiare disfunzionale.
In una casa ancestrale con il cortile al centro e con un insolito campanello d’ingresso chiamata Shanti Kunj (luogo di pace), contrariamente a quanto si dice, regna il caos. Qui la famiglia si riunisce per commemorare la morte prematura di Astik, dopo soli cinque mesi di matrimonio.
La storia si snoda lungo i tredici giorni di lutto che i rituali e convenzioni religiose induiste impongono.
Il film parla del lutto dei familiari, delle faide familiari, delle problematiche economiche correlate, ma è soprattutto incentrato su Sandhya, la donna in lutto che ha perso il marito ma che non si sente affatto triste per questo e desidera ardentemente pepsi e patatine. Anche sua madre Shruthi (Natasha Rastogi) e l’amica Naziya (Shruti Sharma), che si sono precipitate a consolarla nel momento del dolore sono increduli. Il comportamento di Sandhya attira molte critiche dai suoceri, alcuni addirittura sospettato che soffra da stress post-traumatico.
Il caos si aggrava ulteriormente con l’arrivo di familiari giunti per il funerale è il rapporto tra famiglia disfunzionale ortodossa e conservatrice che sebbene non lasciasse nulla di intentato per affermare di essere “moderna” e “di larghe vedute”.
Ben presto Sandhya scopre un segreto nascosto sul suo defunto marito che la turba e la confonde. Sandhya, con un master in inglese, intraprende un viaggio di consapevolezza che dalla vedovanza la porterà all’essere autosufficiente.
Mentre la storia si svolge, notiamo che il film con i suoi personaggi eccentrici, con le crepe e le contraddizioni familiari e le sue usanze si evolve in una satira pungente sulla società e sui costumi indiani, e il tema principale è legato alle donne che continuano ad essere nella società indiana cittadini di serie B con gli uomini che impongono loro rituali e regole.
“Sposarsi senza amore e come mangiare il dolce all’inizio del pasto.”
Passano i giorni e si arriva infine al Terahveen. Seguendo il cerimoniale nell’ultimo giorno l’anima del defunto Astik viene liberata e parte per la dimora celeste, mentre sulla terra la giovane vedova Sandhya liberata e indipendente decide di intraprendere un viaggio per se stessa.
Tra superstizione e mentalità regressiva
Nel complesso lo sceneggiatore e regista del film, Umesh Bist in maniera delicata ha sapientemente mescolato il dramma familiare con la commedia della società indiana e dei conflitti familiari, che per la maggior parte si svolgono all’interno della casa.
Da una parte le tradizioni familiari indiane prima fra tutte il matrimonio combinato, dall’altra il tema della discriminazione e dell’indipendenza femminile. Una casa stipata di cosiddetti parenti con le loro “buone intenzioni”, i loro pettegolezzi, le loro superstizioni e la loro mentalità regressiva, una configurazione perfetta per una sorta di commedia oscura sulla società indiana e caos che ti fa ridacchiare e ti fa sentire a disagio allo stesso tempo.
Forse la società indiana non apprezzerà questo ritratto, questo “guardarsi allo specchio”, ma la storia e sceneggiatura rendono bene i contrasti tra la tradizione e il passato che si confronta con la società presente, dove la mentalità dei giovani e delle donne si stanno aprendo e lentamente si stanno liberando dei pregiudizi e dalle tradizionali costrizioni.
Il film di poco meno di due ore è in lingua originale non doppiato in italiano, da guardare con i sottotitoli. Il film include anche alcuni passaggi musicali tipici dell’industria cinematografica indiana, ma non appesantiscono il film e il risultato complessivo è più che buono.
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