Rabari comunità nomade del Rajasthan, Gujarat e Punjab
I Rabari, chiamati anche Rewari o Desai, sono una comunità nomade tribale dedica all’allevamento di bovini, capre e cammelli che vivono nell’India nord-occidentale, principalmente negli stati del Gujarat, Punjab e Rajasthan. Altri gruppi Rabari vivono anche in Pakistan, in particolare nella regione del deserto del Sindh. La parola “Rabari” si traduce come “estranei“, una descrizione equa della loro principale occupazione e del loro status all’interno della società indiana.
Spostandosi principalmente attraverso le regioni del Rajasthan e del Gujarat, tornano al loro villaggio una volta all’anno e si guadagnano da vivere vendendo latte. In passato erano completamente nomadi ora sono semi-nomadi, spostandosi dal loro villaggio secondo le stagioni. Oggi molti Rabari hanno abbandonato lo stile di vita nomade per una vita più moderna, stabilendosi nelle città. Il ricamo e la tessitura sono una espressione vitale della comunità dei Rabari svolta dalle donne.
Dopo il terribile terremoto del Gujarat nel 2001, i legami storici tra proprietari terrieri, pastori, tessitori, tintori e le donne Rabari hanno iniziato a rompersi. Molti di loro sono rimasti senza tetto per lunghi periodi di tempo e la fabbricazione dei veli è stata messa da parte.
Origine e leggende dei Rabari
L’origine esatta del popolo Rabari è sconosciuta. È molto probabile che siano emigrati in India dall’Iran attraverso l’Afghanistan passando per il Baluchistan circa mille anni fa, anche se questo è stato contestato da alcuni esperti. Alcuni affermano che gli Unni dell’Asia Centrale abbiano attaccato l’India nel IV secolo e abbiano spazzato via la dinastia Gupta e che i Rabari fossero i loro figli, ma anche questa tesi non è confermata.
Secondo le leggende locali, i Rabari furono creati da Matadevi (Pavarti), consorte del dio Shiva e grande dea madre dell’India. Mentre un’altra versione della storia racconta, che Parvati ha pulito la polvere e il sudore da Shiva mentre meditava e modellava un cammello dallo sporco. In un’altra versione, Shiva creò il primo cammello per il divertimento di Parvati. Comunque il cammello scappò e Parvati creò il primo pastore nomade Rabaro. Questo spiega perché mantenere e assistere gli animali è considerato un’occupazione quasi sacra dai Rabari, che si considerano i custodi delle loro mandrie piuttosto che i loro proprietari.
I Rabari credono anche di essere i bambini speciali di Pavarti e cercano il suo consiglio in tutte le questioni importanti, ad esempio prima di iniziare la migrazione annuale della mandria. Non sorprende che, dato il loro legame con la dea madre Parvati, la struttura sociale di Rabari sia matriarcale, con le donne che conducono la maggior parte degli affari e gestiscono loro i villaggi, mentre gli uomini sono responsabili delle mandrie di animali che costituiscono le uniche vere risorse dei Rabari.
La comunità dei Rabari comprende 133 sottogruppi, è organizzata in clan chiamati Atka con al vertice un consiglio di comunità chiamato Nyat. Si sposano all’interno della loro comunità. Parlano Hindi, Marwari, Haryanvi e usano la scrittura sillabica Devanagari. In origine solo i cammelli erano la loro fonte di sostentamento, ora invece allevano capre, pecore, mucche o bufali.
La maggior parte dei Rabari sono vegetariani ma alcuni di loro sono anche non vegetariani. La loro dieta quotidiana consiste in pane fatto in casa di miglio o grano e jowar. Non consumano alcool se non durante le feste.
Usi, costumi, ricamo dei Rabari
Tradizionalmente i Rabari hanno uno stile di vita nomade, vivendo in tende o sotto il cielo aperto e allevando bestiame, cammelli e capre. Ma l’India è cambiata e anche la tolleranza generale nei confronti dei gruppi nomadi, che in passato si basavano su diritti di pascolo ancestrali e antichi diritti di precedenza è cambiata. Oggi solo una piccolissima percentuale di Rabari è veramente nomade, con la maggioranza che si trova a vivere nelle periferie dei paesi e villaggi in stili di vita semi-nomadi, che si spostano a seguito delle piogge stagionali per periodi di tempo, per poi tornare nei loro villaggi.
Mentre gli uomini sono in movimento alla ricerca di pascoli per il loro bestiame, le donne e i bambini rimangono nei villaggi. Le donne Rabare hanno un ruolo significativo nella sfera economica. Si occupano della famiglia, portano acqua potabile e raccolgono legna per cucinare.
Il ricamo è un’espressione vitale, viva e in evoluzione della tradizione tessile artigianale dei Rabari, fino a memoria collettiva del gruppo. Le donne Rabari ricamano diligentemente tessuti come espressione di creatività, estetica e identità. I disegni sono tratti dalla mitologia e dai dintorni del deserto delle popolazioni indigene. Le ragazze imparano l’arte del ricamo in giovane età, esercitando le loro nuove abilità lavorando su una collezione di oggetti ricamati che diventeranno in seguito la loro dote. Questa raccolta può richiedere talvolta due o tre anni per essere completata.
Le donne della comunità Rabari commerciano latte e prodotti derivati dall’allevamento del loro bestiame. La lana e le pelli sono vendute per acquistare merci che non producono da sole.
A volte, le donne Rabari indossano camicie nere. C’è una storia interessante sull’origine dell’abbigliamento nero. Molti anni fa Jaisalmer in Rajasthan era il centro principale dei Rabari. Una volta, un re musulmano si innamorò di una ragazza Rabari. Tuttavia, la sua proposta di matrimonio venne rifiutata dalla comunità, il re si arrabbiò e minacciò di ucciderli tutti. I Rabari per paura smontarono il campo nel cuore della notte con l’aiuto di un uomo musulmano. Ma l’uomo musulmano mentre assisteva alla loro fuga fu ucciso dal re. Quindi si dice che da allora le donne Rabari indossarono il nero per piangere la sua morte. Si dice anche che la lealtà di quest’uomo dia un’idea della facilità di interazione tra induisti rabari e musulmani.
Le donne di solito indossano lunghi foulard neri chiamati Lobadi e distintivi orecchini in ottone pesante. Le donne portano spesso ornamenti in argento e spesso le donne sposate indossano braccialetti bianchi dal gomito alla spalla. Anche le ragazze indossano gioielli come anelli per le dita dei piedi, cavigliere, orecchini, anelli per il naso e bracciali.
Hanno anche l’abitudine di tatuarsi simboli magici su collo, seno e braccia, e altre parti del corpo. Per centinaia di anni, le donne indigene hanno praticato il tatuaggio per scopi decorativi, religiosi e terapeutici.
Un uomo Rabari appare comunemente in abito bianco un dhoti, con un turbante anch’esso bianco o rosso e porta orecchini d’oro, con l’immancabile bastone da pastore.
Matrimonio e morte
Il matrimonio nella comunità dei Rabari, celebra la vitalità della vita e ne garantisce la continuità, ed è considerato della massima importanza. Tradizionalmente, i matrimoni possono essere eventi stravaganti e si svolgono in un particolare giorno dell’anno, durante la festa di Gokulashtami, il compleanno di Krishna. L’evento è atteso con esultanza e un pizzico di paura. Normalmente amichevoli e ospitali, i tribali Rabari diventano ostili e sospettosi il giorno di Gokulashtami.
Gli estranei sono sgraditi, sono considerati intrusi e lo dicono e manifestano senza mezzi termini. Il matrimonio infantile è ancora molto in voga, tuttavia anche i matrimoni per adulti vengono eseguiti attraverso la negoziazione. I matrimoni rabari avvengono all’interno della stessa comunità e spesso tra famiglie strettamente legate. Un nuovo matrimonio è consentito sia alla vedova che al vedovo.
In caso di morte, il cadavere viene cremato nel vicino samsan (campo di cremazione). Il cadavere di un maschio è coperto da abiti neri. Il figlio maggiore accende la pira e la cerimonia viene eseguita dopo undici giorni e il periodo di lutto continua fino al tredicesimo giorno.
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